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LA SIGNORINA COCOTTE

di Guy de Maupassant

Guy de Maupassant – Novelle – Vocifero Podcast

voce narrante Graziana Maniscalco

montaggio e sound design Giuseppe Romeo JDS

Il cocchiere François trova per strada una cagna che chiama Cocotte e a cui si affeziona. I padroni, però, lo costringono a sopprimerla. L’inatteso ritrovamento di Cocotte porterà François alla follia.

nota introduttiva di Nino Romeo

La signorina Cocotte – Mademoiselle Cocotte (1883)

La Signorina Cocotte ha una parente stretta: Storia di un cane, pubblicata nel 1881.

Cosa spinge Maupassant a tornare, a due anni di distanza, sulla stessa storia, quasi con identiche parole? Crediamo che Maupassant, trovandosi tra le mani una storia potente e disturbante, abbia voluto far virare la verisimiglianza del fatto verso il realismo narrativo che gli dettava il maestro Flaubert. Se questo era l’intento, c’è riuscito appieno.

Nella prima stesura del racconto, l’autore si pone come un cronista che risponde “all’appello della Società protettrice degli animali che vuol fondare un Asilo per bestie”. Ma l’angolazione narrativa non è quella della cronistoria. Così, ne La Signorina Cocotte, Maupassant attua una procedura narrativa che gli è solita: costruisce un congegno a scatole cinesi in cui i narratari diventano essi stessi narratori. La storia è raccontata da un palafreniere, amico del cocchiere François, ad un medico che a sua volta la racconta al Narratore neutro che a sua volta la racconta a noi. La follia di François, già paventata nel finale del primo racconto, viene certificata ne La Signorina Cocotte dall’incipit ambientato in un manicomio in cui il Narratore neutro si imbatte nel cocchiere intento a richiamare la sua Cocotte, cagna immaginaria. I due espedienti narrativi aggiunti alla prima novella (l’ambientazione iniziale e la follia conclamata) fanno emergere evidenti, ne La Signorina Cocotte, i segni sotterranei del racconto originale: soprattutto la sensualità primordiale che Cocotte trasmette non solo ai suoi simili ma anche al “ragazzo di campagna, un po’ melenso ma buono, sempliciotto e facile a esser preso in giro” (così è descritto François). Il giovane cocchiere, inesperto della vita, si trova disarmato dinnanzi ai segnali ancestrali lanciati inconsapevolmente da Cocotte. Eppure, la cagna, all’aspetto, non ha nulla di attrattivo: è “di una spaventosa magrezza, con grandi mammelle ciondolanti” quando François la trova per strada; e, quando il cocchiere si prende cura di lei, nutrendola, diventa enorme, “con una pancia gonfia sotto la quale penzolavano sempre le lunghe mammelle ballonzolanti”. Le mammelle sembrano essere il tratto seduttivo della cagna cui François ha dato nome Cocotte, “senza malizia”, forse ignaro che questo era il nomignolo attribuito alle prostitute parigine.

Molte delle donne che popolano romanzi e novelle di Maupassant sono descritte come basse, grassocce, dai seni enormi: pur non attuando strategie di seduzione, schiere di maschi impazziscono per loro; donne longilinee, dai lineamenti delicati, dalle movenze naturalmente sinuose, non hanno pari effetto; come se un legame ormonale atavico congiungesse certe femmine a tanti maschi. Questa percezione è, forse, un dato esperienziale per quel ‘carnale’ di Maupassant, prima di essere un convincimento misogino (sulla misoginia di Maupassant torneremo in seguito).

Ed è una turba ormonale che altera le passioni dell’ingenuo François che si indirizzano verso la femmina Cocotte e lo conducono sull’orlo della follia quando è costretto ad annegare la cagna; e lo fanno crollare nel baratro dell’insania senza ritorno quando egli la ritrova, carcassa, nelle acque della Senna, a duecentocinquanta chilometri dal punto in cui l’aveva gettata nel fiume. 

ascolta l’audio racconto